Nella mia esperienza di insegnante, ho capito che lavorare da soli può portare a dei risultati, ma lavorare insieme porta a risultati migliori. Eppure, quante volte nelle scuole vediamo insegnanti chiudersi nella propria sezione, nel proprio spazio, nel proprio “metodo”, senza condividere, senza confrontarsi? Quante volte ci lasciamo guidare dall’ego, convinti che il nostro modo di insegnare sia “il migliore”, dimenticando che l’educazione è una missione comune, non un’esibizione personale?
La scuola dell’infanzia non può permettersi questo individualismo. Siamo una squadra, non una somma di singoli talenti isolati. Ognuna di noi ha capacità diverse, esperienze uniche, idee che possono arricchire il percorso educativo di tutti i bambini, non solo quelli della nostra sezione. Ma se queste competenze rimangono chiuse tra le quattro mura della nostra aula, il loro valore si dimezza.
E qui tocco un punto delicato, ma importante: a volte, davanti alle novità o alle capacità di una collega, proviamo un pizzico di invidia o di frustrazione. È umano, succede a tutte, perché non possiamo essere esperte in tutto e questo può farci sentire in difficoltà. Ma invece di trasformare questa sensazione in un’occasione di crescita, a volte capita di reagire chiudendoci ancora di più, sminuendo (anche solo mentalmente) il lavoro delle altre, evitando di valorizzarlo, o peggio ancora, boicottandolo.
È un meccanismo che, senza volerlo, può insinuarsi nel nostro lavoro. E il paradosso è che succede proprio in una professione che ha come obiettivo insegnare, il valore della collaborazione, del rispetto e dell’apprezzamento delle diversità.
Immaginiamo per un momento se tutte le insegnanti di un plesso mettessero a disposizione le proprie competenze non solo per la propria sezione, ma per tutta la scuola. Se la collega esperta in musica condividesse le sue attività con tutte, se chi ha una passione per la motricità coinvolgesse ogni bambino, se chi ha un talento per il digitale lo mettesse al servizio di tutti. Cosa accadrebbe? Accadrebbe che la nostra scuola diventerebbe un ambiente vivo, dinamico, dove i bambini potrebbero beneficiare non solo di una sola insegnante, ma di un intero team di professioniste che lavorano con un obiettivo comune.
Dobbiamo smettere di vedere il nostro lavoro come un palcoscenico dove dimostrare quanto siamo brave da sole. Non siamo qui per competere, per far vedere chi prepara l’attività più originale o chi riesce meglio in un certo ambito. Siamo qui per educare, per crescere insieme, per essere un esempio di collaborazione, proprio come vogliamo che i bambini imparino a fare.
Ecco perché io stessa scelgo di mettermi in gioco ogni giorno, condividendo il mio modo di fare didattica su vasta scala. Non perché creda che il mio metodo sia il migliore, ma perché so che è diverso. E nella diversità c’è sempre uno spunto, un’idea, un motivo di riflessione che può arricchire altri colleghi, proprio come io stessa mi arricchisco dal confronto con loro. Condividere non significa imporre un modello, ma offrire una prospettiva nuova, uno stimolo per ripensare e migliorare insieme la nostra missione educativa.
L’autonomia scolastica ci dà l’opportunità di costruire percorsi su misura per i nostri alunni, ma senza condivisione, senza confronto, senza l’umiltà di accogliere anche il sapere e le intuizioni delle colleghe, rischiamo di perdere di vista la vera essenza del nostro ruolo.
Con profondo affetto la vostra Maestra Marinica.
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